Nella prima sezione una cellula primigenia sorge dal flauto, e atavica e inconfutabile si propone grazie ad una proverbiale mobilità di proclamare l'immensurabilità del suono come elemento sempiterno, fisiologicamente connotato benché sostanzialmente imperituro. La conseguente genesi di altre prorompenti particelle, nel divenire dei seguenti episodi musicali, sancisce quell'idea d'infinito, di mutevole esistenza ma di eterno destino, fatto di continua e cangiante sorpresa. Nell'evoluzione di questi processi si assiste ad una sorta di mobilità, ove il suono paia godere di caratteri fisiologici; ecco perché le arcate fraseologiche che si presentano durante l'ascolto godono di una traiettoria spesso finita, di una dimensione nascita-vita-morte. Vivendo, respirando e rispondendo il suono crea cangianti rifrazioni, come nella sezione centrale dove il suono si confonde talvolta col gesto, talvolta con il rumore (gli eolien del flauto sospesi dai bicordi di armonici del violino). L'ultima sezione si fa portatrice di quanto le dinamiche che sottendono alle relazioni in De Rerum Natura paiano sorte dalla dialettica tra cruda espressione ed attento calcolo; quest'ultimo dato, palpabilmente razionale, veicola qualcosa di ineluttabile, sublimandosi. C'è un immobile respiro quasi hegeliano che vorrebbe donare all'uomo questa folgorante esperienza. Dedicatari di De Rerum Natura sono Annamaria Morini ed Enzo Porta. Alla mobilità e alla ricchezza delle loro figure, del loro suono, è stata dedicata quest'opera.